Introduzione di Stanislao Nievo al libro "Poesie" di Primo Marinig.


Primo Marinig è un poeta innato che ha mirato all’altra vita per lo spirito. Nell’esplosione del suo canto d’anima eletta, Marinig usa parole e versi limpidi, sembra il cantore nascente e paesaggistico d’un tempo lontano e insieme legato al nostro, in un ambiente di civile contrada friulana dove le azioni si ripetono in ordine naturale, lo slancio esce dalla penna con parole di altri, di tutti, che diventano sue nella sintassi poetica.
Sono “le parole che consumano i sentimenti” a cui antepone, pronunciandole, “una sinfonia di silenzi” che prepara per l’anima gemella, quella a cui si rivolge. Usando il linguaggio corrente ne fa una sinfonia per l’aldilà, dove la passione diventa estasi tenera, la notte lontananza piena di luce, le piaghe recenti ebbrezza del perdono. E consolazione dei sospiri per il giorno che lo riporterà dagli amici ebbri di spensieratezza. Cioè senza pensieri. Tutti questi versi sgorgati senza affanno ma con magistrale levità e chiarezza, con disegni di paesaggi, nel ricordo degli emigranti per il Varmo natio fiume dove il poeta si allarga ad un altro poeta indigeno, il mio prozio Ippolito, sul ponticello di legno dove l’altro sorride, pensoso. C’è un sottile filo di vita che esulta…
Così tornano i versi, mai poeticamente banali pur negli etimi correnti, nel fervore vitale dello sguardo della fine, dell’abbandono, della notte e dell’oblio per altri volti che subito dimentica. Quanta grazia disperata in tali rime aperte alla vita e buie di essenze.
Ma improvviso esplode, porta dell’attuale modernità, il fumo ingombrante e lucido per le idee nuove, spesso morte appena nate. “ Dal juke-box … la ninna nanna stanca che culla pensieri sonnolenti… dove il poeta si sente schifosamente bianco e flaccido e lento e vecchio come l’Europa”. E’ la speranza di una nuova vitalità tra lo scoppio delle “vostre” risa. Delle risa di chi gli è vicino. Fino agli inni di morte dove Primo saluta chi legge nella speranza del ritorno vitale, figlio d’un’altra primavera.
Addio Primo. No, arrivederci…


Stanislao Nievo

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