L'Abate Domenico Sabbadini


L’abate Domenico Sabbadini è probabilmente il nostro più insigne concittadino. Nacque a Camino il 7 ottobre del 1767 da Maria Pezzetta e Francesco Sabbadini. Il giovane Domenico ricevette una educazione liberale in Udine alla scuola dei Bernabiti, dove Pugnetti, Zamboni e Seghini lo istruirono alle Lettere. Pur di carattere ingenuo dimostrò sin da subito pronto ingegno e capacità letterarie. Interruppe però gli studi classici per dedicarsi a quelli della musica: i cantori della cappella udinese si accorsero difatti della sua voce soavissima e lo portarono nella celebre scuola del melodioso maestro Tomadini, “attirando”, dice il suo biografo Pirona “folle ad ascoltarlo ed applaudire”. Contemporaneamente il Sabbadini si dedicò agli studi della Filosofia e della Teologia e nel 1791 venne consacrato sacerdote restando cantore nel Duomo di Udine. “Vivea il giovane Poeta vita musicale e l’amenità dello spirito e la bontà disinvolta del costume lo rendeano ricercato da ogni gentile adunanza; erano a lui aperte le porte d’ogni onesta e sociale famiglia” continua il Pirona, “ ma in sul quarantesimo anno, sedata alquanto la passione del canto, cominciò a pensare ai tardi anni suoi. Si rimise nella primitiva amicizia delle lettere (…) la Poesia fu il secondo suo amore.” Si riscoprì poeta e le sue opere furono apprezzate e ammirate dai dotti della nostra regione. Centinaia di sonetti di impeccabile fattura dedicati a nozze, messe nuove, funerali, convitti o semplicemente per se e per il suo puro piacere di scrivere. Sono canti che riflettono l’amore del bello, del buono che egli cercò di diffondere. Partecipò nel 1818 ad un concorso per la cattedra di Storia Universale nel Liceo di Udine. La prima domanda del concorso era: “Quali meriti ha l’Italia riguardo alla cultura di Europa e quali circostanze hanno promosso e favorito i progressi delle arti e delle scienze in quella penisola?”. Il nostro concittadino era di natura mite, un sacerdote pacifico, ma allora suddito austriaco espose con fierezza le ragioni per cui la cultura latina favorì la cultura europea concludendo cosi il suo scritto: “ … sia permesso ad un italiano di gloriarsi di appartenere a quella nazione che ha introdotto in tutti gli Stati d’Europa il culto del Vero, del Bello, del Buono affermati in opere che palesano e paleseranno il genio creatore italiano il quale al mondo non ha paragoni.” Il concorso non fu vinto, ma tra il 1821 e il 1824 tenne le veci di moderatore del Ginnasio: fu allora l’idolo dei discepoli studenti e amico di tutti i maestri.
L’unanime simpatia che riscuoteva in tutta la nostra regione sono secondo un’altra studiosa del secolo scorso, Anna Fabris, dovuta anche “alla vena di fine umorismo per la quale scaturivano da uomini e cose che egli rifletteva nei versi berneschi. Vissuto in tempi in cui le osterie rappresentavano pubblici ritrovi egli cantò Caracco, Palotta, Plati osti celebri udinese presso i quali si ritrovano i poeti… le attrazioni, le alterazioni bacchiche di qualche frequentante, sono dal Sabbadini dipinte cosi al vivo che vedute come in un film …”
Il Pirona che alla morte del poeta lesse all’Accademia Udinese l’elogio funebre celebra oltre al suo versatile ingegno la generosità del suo cuore, affermando che la sua bontà giovò fra il popolo a diffondere la civiltà: “inclino sempre a mettersi in armonia con altrui come l’acqua tende all’equilibrio; saldo solo ove trattavasi di religione, di costumatezza, di fedeltà ai doveri di cattolico e di cittadino; cosicchè violenza alcuna non lo trasse a vacillare in tutto il corso della sua vita”
L’Abate Sabbadini morì a sessantasei anni il 6 gennaio del 1833.

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